10 novembre 2015

La nostra ultima canzone di S.K. Falls. Recensione


Inizio col dire che ho scelto la lettura di questo libro lasciandomi incuriosire da titolo e copertina che trovo accattivanti. Non avevo letto nessuna recensione, sinossi o trama. Un salto nel buio, come piace a me, quindi non ero minimamente preparata al tema trattato. Faccio fatica a definire questo libro un N.A. tradizionale, nonostante l’età dei giovani protagonisti. Saylor nasce e cresce in New Hampshire in una famiglia sterile di affetto, madre infelice e insoddisfatta, padre completamente assente. 

La ragazza si rende conto presto che l’unico modo per attirare l’attenzione su di se è provocarsi del male e costringere quindi la madre ad accompagnarla in ospedale o dal medico ed occuparsi di lei e godendo quindi dei piccoli piaceri dell’essere accudita e non ignorata. A 7 anni ingoia uno spillo e da quel momento viene fagocitata da una spirale dalla quale non sa e non vuole uscire. La ricerca di affetto attraverso il dolore si trasforma ben presto in patologia, la sindrome di Munchausen e se da una parte costringe la madre a concederle un minimo di attenzione, dall’altra ne leggerà sempre di più negli occhi il disprezzo per una figlia non perfetta e ingombrante. Un nuovo psicologo, una nuova cura, del volontariato presso una struttura in cui dei giovani afflitti da malattie terminali e incurabili si ritrovano per incontrarsi tra loro e cercare un sostegno, sarà per Saylor la svolta.  A volte le persone fanno ciò che fanno perché è l’unico modo di vivere che conoscono. Le loro azioni sono dettate da quello che hanno affrontato nella loro esistenza. Infatti sarà in quel gruppo di MTMD che conoscerà Andrew Dean; il ragazzo, come gli altri membri del gruppo, soffre di una malattia degenerativa che non gli impedisce però di apprezzare il poco che la vita gli permette ancora di fare, come suonare la chitarra e combattere per chi sta peggio di lui. 


E’ a causa di un malinteso che il gruppo scambia Saylor per una di loro, per una malata senza speranze, e la giovane si sente finalmente nel suo habitat. Lasciare intendere a Drew, che da subito l’aveva trattata come la malata che voleva essere, di far parte di quel cerchio di persone bisognose è per lei così facile da spingerla a continuare la farsa. Non c’è nient’altro. Nella vita non c’è nient’altro che questo, nient’altro che noi, adesso, in questo preciso istante. Noi siamo vita; siamo destino. Finalmente è dove vuole essere, con persone che la capiscono, che la considerano e la rispettano. Ma lei non è una MT, lei non può essere considerata davvero una di loro, o si? La malattia mentale può essere paragonata ad una condanna di morte? Esistono malattie di serie A e di serie B? Era incredibile come il dolore ci facesse desiderare l’oblio. A noi umani piaceva pensare di essere una specie forte, in grado di sopportare tutto. Ma di fronte alla mortalità individuale, ci ritroviamo a piangere, raggomitolati su noi stessi, desiderosi di dileguarci nel vuoto. Naturalmente quando si verrà a scoprire quello che lei è veramente, quando Saylor viene smascherata, non rimangono più dubbi su ciò che lei ha fatto veramente per farsi accettare. Ma l’unica cosa che rimane certa sono i sentimenti che Saylor e Drew provano l’una per l’altro. Ma certi ostacoli si possono superare? Da certe mancanze si può guarire? 

Anch’io, come immagino la maggior parte delle persone che hanno letto questo libro, ho disprezzato la superficialità con cui Saylor si provoca volontariamente del male nella speranza di attirare l’attenzione, di come vuole mettersi alla pari con chi la sofferenza non l’ha scelta ma ci deve vivere e fare i conti tutti i giorni, con quelle famiglie che vedono spegnersi un giovane figlio sotto gli occhi senza poter far nulla se non maledire una cattiva stella del destino. Ma poi la domanda che mi rimbalza in testa è sempre la stessa: “perché una persona deve voler star male, desiderare soffrire per attirare l’attenzione e l’affetto di chi, per natura, dovrebbe amarti incondizionatamente? Quanto l’enorme mancanza d’amore familiare ha inciso sulla sua psiche? Sarà mai una persona equilibrata?” ‘Certe cose, che si ritenevano fatti universali, erano in realtà bugie universali. Ad esempio: l’amore materno e incondizionato. Un altro esempio: tutti gli esseri umani mirano alla salute. In verità certi di noi sono delle specie di negativi fotografici; stonati, discordanti, sbagliati’. La storia d’amore tra i due ragazzi probabilmente la salverà, toccare con mano la drammaticità della morte degli amici e della mancanza di futuro dell’uomo che ama la salverà. Ma questo ci porta ad analizzare più in profondità le dinamiche di giovani trascurati, bisognosi di attenzioni che vanno ben oltre quelle materiali. Insomma un libro che ho letto con facilità perché lo stile della scrittrice è facile e fluido, mai pesante ma che mi ha fatto riflettere tanto.

Un chiodo, un pensiero fisso, una prospettiva sulla vita con la quale molti di noi evitano di imbattersi perché affrontare il dolore è difficile. Lascio a voi, se deciderete di leggere questo toccante libro, l’ardua sentenza. Ricordando solo che nel dolore non tutto è bianco o nero, non tutto è giusto o sbagliato. ‘Volevo crederci. Fortemente. Volevo che quel momento fosse la nostra verità eterna. Questa era malattia: un letto di morte, un dipinto come regalo di addio, e persone venute a salutarti per l’ultima volta. Solitudine, disperazione e sofferenza raccolte in sorrisi e parole di conforto. La consapevolezza piena e irrevocabile che il mondo sarebbe andato avanti, e tu non ne avresti avuto l’occasione. Quanto sarebbe stato facile entrare nella vita che mi ero creata. Avrei potuto disfarmi della vecchia vita, della mia vecchia vita malata, come un serpente cambia la pelle, lasciandosi alle spalle ciò che non va più bene’.

Un caloroso saluto, Elena
BELLO



Sinossi | Il più grande desiderio di Saylor è ammalarsi, solo così, pensa, chi le è accanto la noterà e le vorrà bene. Ha la Sindrome di Münchhausen, infatti, e ogni scusa è buona per entrare in contatto con germi e malattie. Così, quando il suo psichiatra le consiglia di andare a fare volontariato per i gruppi di auto-aiuto, accetta con grande entusiasmo: per ammalarsi non c’è niente di meglio che passare del tempo in ospedale. Lì Saylor conosce un gruppo di ragazzi, malati terminali, e inizia a frequentarli. Tutto si basa su un equivoco - loro pensano che anche Saylor sia molto malata - ma lei non ha alcuna intenzione di fargli cambiare idea, perché per la prima volta si sente a suo agio con dei ragazzi della sua età. Tra di loro c’è Drew, un ragazzo bellissimo, un musicista, di cui a poco a poco Saylor si innamora. A separarli c’è quella tremenda bugia, Saylor non ha davvero la sclerosi multipla, ma a unirli c’è una forza potentissima, che li spinge a credere di conoscersi da sempre.



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